E’ legittimo il sistema PagoPa?

E’ strumento esclusivo di pagamento?

In un recente articolo, “Lo Spid non sostituisce la carta“, abbiamo avuto modo di precisare come l’utilizzo dell’identità digitale non sia affatto un obbligo, ma una facoltà concessa ai cittadini per poter usufruire dei servizi on line offerti dalle pubbliche amministrazioni.

Abbiamo anche precisato come gli enti siano obbligati a prestare la propria attività a favore dei medesimi mediante i canali tradizionali di comunicazione e di accesso.

Tale ultima possibilità non deve comportare maggiori difficoltà e maggiori costi per l’utenza.

Queste considerazioni derivano, anzitutto, dal buon senso, ovviamente, ma si tratta anche di conclusioni chiaramente desumibili da norme scritte nel nostro ordinamento: a tal fine basti citare gli articoli 38 del DPR. 445/2000, 3 bis del D.lgs 82/2005, 24 del D.L. 76/2020, senza dimenticare i fondamentali articoli 2, 3 e 97 della nostra Costituzione, da noi commentati nell’articolo sopra richiamato.

Orbene, se tutto ciò è vero, viene, allora, da domandarsi: come mai, invece, oggi vige il dovere di pagamento di diritti, tariffe, ecc, agli enti pubblici ed assimilati, solo ed esclusivamente mediante il sistema informatico PagoPa?

Tal “obbligo” sarebbe stato introdotto recentemente, mediante l’art. 5 del D.lgs 82/2005, da ultimo modificato con D.L. 152 del 6 novembre 2021.

Ma vediamo, con attenzione, cosa prevede questa norma:

I soggetti di cui all'articolo 2, comma  2,  sono  obbligati  ad
accettare
, tramite la piattaforma di cui al comma 2, i pagamenti
spettanti a qualsiasi titolo attraverso sistemi di pagamento
elettronico, ivi inclusi, per i micro-pagamenti, quelli basati
sull'uso del credito telefonico
Art. 5, comma 1 del Decreto Legislativo 82/2005

La norma dice, quindi, che:

  • gli enti sono obbligati ad accettare i pagamenti mediante la piattaforma PagoPa.

La norma, invece, non diche che:

  • i cittadini sono obbligati ad effettuare i pagamenti mediante tale piattaforma.

Giunti a questo punto non si può non rilevare un’imbarazzante contraddittorietà nel complesso del sistema legislativo afferente la digitalizzazione del rapporto cittadino – pubblica amministrazione:

  • da un lato abbiamo il diritto da parte delle persone di continuare ad utilizzare le vie tradizionali di contatto con gli uffici pubblici; infatti, non si vede il perché un individuo debba essere obbligato a dotarsi di un’utenza internet e, financo a possedere un cellulare od un computer;
  • dall’altro lato abbiamo la normativa sul sistema PagoPa che obbliga gli enti pubblici ad accettare i pagamenti esclusivamente mediante questa piattaforma, mentre nulla dice in merito ai cittadini, i quali rimangono liberi, come detto, di utilizzare altri mezzi per saldare i propri debiti nei confronti deli uffici pubblici.

Non possiamo certo credere che il nostro ordinamento voglia considerare queste persone “non tecnologiche” come cittadini di serie B; ciò non è possibile, a tacer d’altro, in quanto lo vieta la nostra Costituzione.

L’andare a caccia di queste contraddizioni interne al sistema non è un esercizio di logica giuridica fine a se stesso ma, serve, invece, a rendere consapevoli le persone di come pur in assenza di chiari obblighi, la comunicazione istituzionale, sia governativa che da parte dei vari attori pubblici coinvolti nell’operazione, è tesa a dare la percezione di una realtà non supportata affatto da un punto di vista normativo, se non con scelte che appaiono del tutto equivoche, infatti, secondo tale narrazione:

  • l’utilizzo dello Spid (identità didigtale) appare ormai l’unico strumento esistente per potersi rivolgere agli uffici pubblici;
  • il pagamento di diritti, ecc., nei confronti degli enti sembra debba avvenire solo ed esclusivamente mediante questi mezzi telematici.

Una possibile soluzione: l’invio di una diffida

Di fronte a queste gravi contraddizioni ed all’ineliminabile diritto delle persone alla fruizione dei servizi pubblici, certamente è consigliabile, in caso di rifiuto all’erogazione di servizi o al ricevimento di pagamenti, la notifica di una diffida mediante la quale si metta in mora l’ente.

Su tali aspetti pratici si avrà modo di ritornare con successivi interventi.

Conclusioni

La strategia perseguita da chi ha in mano la “governance pubblica” appare chiara: imporre la digitalizzazione forzata dei cittadini mediante l’introduzione di una consuetudine generalizzata, osservata dalla stragrande maggioranza della gente, con la credenza di adempiere ad una norma obbligatoria, di fatto inesistente.

Ricordiamo come gli usi e le consuetudini siano contemplati all’art. 1 delle preleggi al codice civile quali fonti del diritto.

Questo significa che se il comportamento dei cittadini si adeguerà ad un dettato normativo, seppur lacunoso che non li obbliga in punto di diritto, dopo alcuni anni di accettazione tacita, ben poco avranno da eccepire a loro difesa: la norma, attraverso l’uso e la consuetudine costante, seppure diffettevole di un chiaro e completo supporto normativo, comunque sarà entrata pienamente nel nostro ordinamento.

E’ inutile, qui, richiamare ancora una volta nei dettagli, i rischi derivanti da un simile sistema di amministrazione pubblica: non si tratta di essere contrari al progresso tecnologico, ma di essere consapevoli, invece, dei rischi che comporta il subordinare l’esercizio di diritti a procedure informatiche opache.

Non si può rischiare di morire di fame, perché non si ha lo Spid o non si riesce ad usare il sistema di pagamento PagoPa.

Chi decide di impedire l’accesso ad un sistema informatico di erogazione servizi e prestazioni pubbliche: forse un algoritmo?

3 pensieri riguardo “E’ legittimo il sistema PagoPa?

  1. Sono d accordo fortenente nel mantenere anche il sistema tradizionale di pagamento e riscossioni. Primo perchè la tecnologia e la sua efficacia sono scadenti in Italia, secondo, perchè la digitalizzazione porta alla dipendenza totalitaria dal potere marcio e corrotto e criminale, terzo perchè nessuno può e deve imporci il nostro modo di vivere e rapportarsi con la società

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