FUOCO AMICO

N O T E A M A RG I N E

Cosa più spregevole che obbligare qualcuno a un gesto del quale gli s’impone assumere la responsabilità (declinando al contempo la propria) ?

Cosa più spregevole che chiudere la porta in faccia a qualcuno che si trova in situazione grave per aver obbedito a un nostro ordine?

Cosa più spregevole che provocare un danno a qualcuno e non sentire neppure l’obbligo morale di chiederne scusa.

Non vi è dubbio. Pochi comportamenti umani meritano maggior disprezzo.

E, tuttavia, essere uomini significa voler comprendere anche ciò che ripugna.

S’intravede, allora, la possibilità di una logica ”non Euclidea”. O meglio, la possibilità di un mondo che si è forgiato categorie morali “non umane”. Questo mondo si chiama modernità.

“Modernità” è rifiuto e negazione del processo organico, in favore di un impianto artificiale e meccanico che s’impadronisce della vita e la sugge fino a svuotarla, per alimentare il nulla che costituisce la sua essenza.

Essa, come un conflitto che usa armi sempre più devastanti, non può certo arrestarsi perché il loro uso si risolve, sovente, in larghe messi umane falciate nel proprio stesso campo.

I “danni collaterali” riguardanti i civili inermi, al pari delle truppe distrutte da “fuoco amico” sono evenienze universalmente note … e accettate.

Ciò che caratterizza il fondo oscuro della modernità è, infatti, un dogmatismo spietato e a-finalistico.

La modernità e il progresso non sono, da molto tempo, espressione e realizzazione di ciò che è utile e buono per l’uomo e neppure, come vedremo, di ciò che lo rende felice.

Costituiscono, invece, “beni / fini” a sé stanti, che debbono essere perseguiti “a prescindere”.

… a prescindere dai “danni collaterali”, da ciò che è necessario, utile e buono per l’uomo. A prescindere dall’uomo!

Come un Molok che emerge dall’incubo di un brutto sogno, la Modernità manifesta sovrana indifferenza all’Uomo e ai suoi bisogni reali.   Ne appaga altri del tutto fittizi (e creati ad hoc) salvo pretendere, in cambio, la stessa vita!

Sul “cammino della Modernità”, nessun generale verrà processato perché la sua azione ha provocato morti tra i civili –ma in questa sorta di precettazione universale, esistono ancora i “civili”?-. Né lo si chiamerà a rispondere per un “fuoco amico” che ha accoppato uomini e donne … dalla parte sbagliata.

Allo stesso modo, non si chiameranno a rispondere del “fuoco amico” i politici, i medici e i giornalisti che hanno alacremente (e, spesso, non disinteressatamente) cooperato alla regia di trè anni di un incubo che, per i danni, fisici, psicologici e spirituali causati alla comunità su scala planetaria, non trova precedenti nella storia a noi nota.

Il trionfo del Progresso val bene la vita di milioni di uomini.

In tutto ciò si appalesa quella “trasvalutazione dei valori” che Nietzsche ha identificato come caratteristica del nichilismo.

Piaccia o no, ci troviamo innanzi al tentativo titanico d’introdurre nuove categorie morali dove “male” è la pretesa al rispetto dell’Essere e di ciò che, da sempre, l’Uomo ha affermato di sé, identificandosi con il modello di “uomo eterno”.

Che è uomo o donna. Che è legato al luogo in cui vive e alla memoria dei propri patres. Che guarda e interroga il cielo.

Che riconosce, nella vita, un dono da accogliere con serietà, che non può essere dissipato inseguendo sogni di cartapesta fabbricati da altri. Che sente il destino dell’Uomo non esser circoscritto alla vita dell’uomo.

Ma il “nuovo bene” in cosa consiste mai? Se non nell’aderire alla morale del gregge, nel (non) pensare come tutti (non) pensano, nel fare quel che tutti fanno, nel consumare ciò che tutti consumano, nell’obbedire a tutte le sollecitazioni dementi che provengono dai burattinai di questo turpe teatrino, usi a trarre godimento dai movimenti quanto più assurdi e scomposti impressi alle figurine di gesso che si dimenano sulla scena!

Abbiamo, finalmente, compreso che il nuovo bene consiste nel non fare domande sul senso dei propri gesti e della propria vita! (E nel non porsele).                                                                                 

Ma non ci conformeremo a questo “bene”.

Continueremo a farci –e fare- domande.

E a pretendere risposte.

Stefano Tosi

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