Prof. Daniele Trabucco
L’Unione Europea si manifesta, sempre di più, come una costruzione che ha reciso le proprie radici metafisiche e che, per questo, non è più civiltà ma soltanto apparato. Nel conflitto russo-ucraino essa crede di essere protagonista, mentre in realtà recita il copione di un dramma che altri hanno scritto. Il suo volto politico non è che il volto della città di Smeraldo della fiaba di Baum “Il meraviglioso Mago di Oz”: ornamento scintillante, facciata di vetro e di specchi, illusione collettiva che nasconde il vuoto. Là dove Platone parlava della caverna, l’Europa oggi si muove tra le ombre proiettate da fuochi artificiali, incapace di volgersi alla luce del vero. Ciò che rimane è un popolo di figure che scambiano l’apparenza per sostanza, il fumo per realtà, il mago ingannatore per potenza autentica.
I suoi leaders sono icone di questa perdita dell’essere. Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, è la Dorothy smarrita, che cammina lungo il sentiero giallo della tecnica, della burocrazia e della illusoria potenza, senza sapere quale telos orienti il cammino (lo sanno altri per lei). Macron, Presidente della V Repubblica francese, è lo Spaventapasseri, figura della ragione moderna che si illude di possedere intelligenza universale, ma che è in realtà solo artificio dialettico, sofistica che non conosce più la verità delle cose. Scholz, Cancelliere della Repubblica federale tedesca, è l’Omino di Latta: organismo metallico, incarnazione della forza economica e militare ridotta a pura quantità, incapace di cuore, ossia di quel principio vitale che Aristotele chiamerebbe psyché, senza cui nessuna azione politica è reale. Meloni, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, è il Leone Codardo: ruggito di parole e proclami, simulacro di coraggio, mentre il coraggio, secondo Tommaso, è virtù radicata nella prudenza e ordinata alla giustizia, ossia forza ordinata alla verità; e qui la verità è assente, sostituita da calcolo e timore che l’ha portata non solo a rinnegare tutto, ma anche a circondarsi di un’effimera classe dirigente plaudente con la speranza di poter contare o di essere protagonisti “illusi” di un ipotetico cambio di rotta.
Tutti insieme marciano come una compagnia di parodie, illudendosi che il Mago conceda loro ciò che essi non possono donarsi: un intelletto ordinato al vero, un cuore capace di sacrificio, un coraggio che si radichi nella trascendenza dell’essere.
La Russia, in questo scenario, non è la contro-fiaba, bensì la figura del reale che spezza l’incantesimo. Non vi è in essa il volto del Mago che nasconde la propria impotenza dietro artifici, bensì la rudezza della storia che si offre come limite. L’Europa, che abita il mondo dei simulacri, si trova costretta a misurarsi con ciò che non si dissolve in retorica: la decisione, la volontà, la forza che non dipende da scenografie. In termini tomisti, l’atto prevale sulla potenza inerte: mentre l’Europa resta pura potenza non attualizzata, la Russia mostra di esistere come atto, presenza concreta, realtà che incide.
Il giudizio filosofico è severo. Platone ammoniva che chi scambia le ombre per la realtà vive prigioniero e che solo l’uscita verso il sole consente la liberazione ed Aristotele ricordava che la politica è parte dell’etica, cioè dell’orientamento dell’uomo al fine ultimo e non mera amministrazione di interessi.
L’Europa, avendo tradito queste radici, non possiede più la luce, né il cuore, né la forza. Essa non è che la marcia dei personaggi di Oz, simboli di una privazione radicale, i quali sperano che un’apparenza di potere, il Mago, conceda loro ciò che in realtà possono ottenere solo riconciliandosi con la verità.
La Russia, in quanto figura del limite e del reale, costringe così l’Europa a rivedersi: essa rivela che la storia non è sogno, che la politica non è teatro, che l’essere non tollera sostituzioni.
Se il continente non tornerà a interrogarsi sul fondamento, rimarrà condannato a inseguire un mago inesistente (che poi lascia la città di Smeraldo con la mongolfiera nella qusle Dorothy non riesce a salire), a venerare simulacri, a vivere di illusioni sempre più fragili. E quando il velo cadrà, non rimarrà che la nudità del nulla, l’eco di un continente che ha preferito la fiaba alla verità, l’ombra all’essere. In quel momento non resterà alcunchè: nè la ragione calcolatrice di Macron, nè l’armatura (di latta) di Scholz, nè il coraggio a parole della madre cristiana.
Dirà il Mago, una volta caduto il paravento: “Sono soltanto un uomo comune, non un mago affatto” (cit. Baum, “Il meraviglioso Mago di Oz”).
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