Termine di 6 mesi per adempiere all’obbligo vaccinale

SANITARI E PERSONALE DOCENTE

La legge in Italia non conta più molto, ben più rilevanti sono le “faq” ministeriali, specie quando si tratta di limitare diritti sanciti costituzionalmente, come il diritto al lavoro, ad esempio.

Il ministro Speranza è intervenuto, a tal proposito, con una “faq” dell’11 maggio ultimo scorso, affermando che l’obbligo vaccinale per il personale scolastico va adempiuto entro 90 giorni, per i docenti guariti, e 120 giorni per coloro che devono sottoporsi alla dose di richiamo, dopo aver contratto la malattia.

Tutto ciò indipendentemente dalla durata del green pass, che può “scadere” dopo sei mesi.

Il ministero, di fatto, riprende quanto stabilito con propria nota del 24 marzo 2022, avente ad oggetto il personale sanitario.

E’ “interessante notare” come Il decorso dei termini viene rilevato automaticamente dai sistemi di controllo digitale messi a punto dal governo, che vale la pena ricordare, sono:

  • Greenpass50+ di Inps
  • NoiPa del Ministero dell’economia e finanze
  • Sidi del Ministero dell’Istruzione

Per il Consiglio di Stato, a cui è stata sottoposta la questione, tale modo di procedere deve considerarsi del tutto legittimo, potendosi dare rilievo anche ad atti non normativi, comunque manifestanti l’orientamento della Pubblica amministrazione, come le “faq”, appunto, (parere 01275/2021, I sez. adunanza del 16/06/2021).

Si tratta di argomentazioni del tutto deboli: un obbligo non può che essere imposto se non per legge, mentre le circolari, note, ecc., ministeriali, non possono che avere valore interno alla pubblica amministrazione e mai spiegare i propri effetti nei confronti dei consociati.

A parte questa dichiarazione di principio, universalmente accettata nel mondo del diritto, occorre rilevare, inoltre, come il percorso logico giuridico seguito dal Ministero, sia del tutto tortuoso.

La nota del marzo 2022, recita testualmente:

“Da quanto precede, discende che il professionista sanitario deve essere considerato inadempiente all’obbligo vaccinale qualora non effettui la dose in questione alla prima data utile (90 giorni) indicata nelle circolari menzionate”.

Si tratta, però, di una conclusione del tutto contestabile in quanto prende le mosse da precedenti circolari dello stesso Ministero che individuano una finestra temporale che va dai tre ai sei mesi.

La circolare del 24 marzo 2022 è di tipo interpretativo di circolari precedenti che hanno affrontato il tema (e non potrebbe essere altrimenti) e non di tipo “precettivo” (vera e propria contraddizione in termini), se proprio si voglia dare una valenza alla surrettizia delegificazione operata con l’art. 4, comma 5 del D.L. 44/2021

In particolare, vengono in rilievo la circolare del 3 marzo 2021 prot. 8284 e circolare 09 settembre 2021 prot. 40711 che individuano un lasso temporale che va dai 3 ai 6 mesi. La circolare del 21 luglio 2021 prot. 32884 individua addirittura un termine che va da 6 a 12 mesi.

All’interno di questo teatro dell’assurdo, lo spazio a disposizione del sanitario costretto ob torto collo a sottoporsi a vaccinazione non può che esistere dentro questi due limiti temporali (minimo 3 e massimo 6 mesi).

Appare, quindi, del tutto arbitraria, e di per se equivoca, la conclusione tale per cui chi non si vaccina allo scoccare dei 3 mesi debba essere sospeso, venendo in rilievo, al contrario una volontà coercitiva non giustificabile da parte del Ministero.

Fortunatamente e significativamente vengono in soccorso due recenti sentenze del Tar Lombardia (607/2022) e del Tar Brescia (359/2022), le quali valorizzando la circolare del 21 luglio 2021 prot. 32884 giungono a concludere che alle professioni sanitarie si applicherebbe il termine di 6 mesi.

A fronte di questo caos interpretativo ministeriale, recentemente Fnomceo (federazione nazionale medici) ha chiesto un urgente chiarimento a Speranza affinché sull’intero territorio nazionale possa essere adottata una linea uniforme dai vari ordini.

Un interrogativo sorge inoltre spontaneo: se lo stesso Ministero appare incerto, avendo, in qualche modo fugato, per così dire, gli ultimi suoi dubbi al riguardo, solo l’11 maggio ultimo scorso, chi ha deciso, invece di tarare, con mano sicura, i sistemi informatici già da tempo, affinché essi facciano apparire il greenpass scaduto decorsi i 90 giorni?

E’ ovvio che i tecnici di turno avranno chiesto a qualcuno il quale a sua volta avrà interpellato altri soggetti a lui sovra ordinati.

Senza voler percorrere tutta la filiera decisionale a ritroso (basta averne tratteggiata la logica) quel che preme rilevare è che il sistema molto pericolosamente, grazie ad una nascosta delegificazione, che fa leva sull’opacità delle procedure, arriva, sfruttando la farraginosità del sistema, ad imporre obblighi e togliere diritti, grazie ad un’apparecchiatura informatica, al lampeggiare rosso della quale, tutti si arrestano, senza alcuna garanzia di legge.

E’ un sistema di procedere, questo, molto pericoloso da un punto di vista del diritto, e che va, pertanto, combattuto, con tutti i mezzi legittimi possibili.

CONSIGLIO PRATICO:

Alla luce di quanto appena scritto appare quindi del tutto opportuno che i soggetti sospesi decorsi solo tre mesi, inviino, senza indugio, una diffida al proprio ordine di appartenenza ed all’Ente presso cui lavorano, al fine di poter veder revocato il provvedimento di sospensione ed essere, così, riammessi in servizio, ponendo in mora i medesimi enti, anche per quanto riguarda i profili risarcitori.

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