INFERENZE: NICHILISMO E GUERRA

“E’ proprio alla volontà di potenza impedire che il reale su cui essa esercita la sua potenza appaia in quella realtà che essa essenzialmente è”

(Martin Heidegger)

Qual è il primo imperativo nei confronti di un potere che, manifestandosi, si occulta e, nell’occultarsi diffonde una falsa apparenza di sè?

A questa domanda non potrà darsi altro che una risposta “apocalittica”.

Per dare un nome alla forza che muove le cose, occorrerà far cadere il velo e, come Perseo, fissare lo sguardo sul Nulla.

Due sono gli aspetti dell’osservazione: il velo e ciò che dietro il velo agisce.

 Non si deve immaginare il velo come un semplice sipario la cui unica funzione sia quella di nascondere “qualcosa” che sta dietro. Anzi, la funzione di occultamento viene dissimulata dalla sua natura di rappresentazione (falsata) della realtà.

Ciò che cade sotto i sensi è, infatti, una scena definita, un paesaggio dipinto sul sipario che vorrebbe imporsi come paesaggio reale.

 Cos’è, per contro, che consente di percepire ciò che cade sotto lo sguardo come artefatto o semplice “quinta”?

E’ lo stesso fattore che consente di distinguere il dipinto di un bosco da un bosco.

Da un punto di osservazione che si affidi solo alla vista, a volte può essere difficile distinguere la riproduzione della realtà dalla realtà. 

Ma i sensi, nel loro approccio “stereofonico”, sono in grado di percepire le aporie della scena e di svelare l’inganno. 

Questa è una facoltà di cui dispongono tutti gli esseri compresi nel mondo naturale.

Sarebbe maestria suprema, da parte dell’artista che dipinge un fiore, riuscire ad ingannare, sulla reale natura di ciò che ha dipinto, una farfalla.

Ma l’inganno non riesce.

Non foss’altro perché l’aria diffonde il profumo del fiore e il vento muove le fronde: ma questo accade solo all’interno di una scena naturale e non di una sua riproduzione.

Dove la scena della contraffazione si trasferisce al mondo delle essenze metafisiche, l’Uomo dovrà far ricorso alle sue capacità noetiche.

Su questo piano, lo spirito anima la realtà ma non la quinta di teatro che la riproduce. 

Più precisamente, lo spirito anima la realtà umana sottraendola, indefinitamente, alla previsione e al rapporto fisico causa-effetto.

Sicchè solo lo spirito può cogliere il soffio vivo che anima il reale aggredendo da lati disparati questo Ente in continuo cambiamento e ricostruendone faticosamente i semi di verità che contiene in virtù della sua capacità combinatoria.

Esso, infatti, è mobile e polisemico. Mentre la finzione è immobile e unilaterale (nel senso che è in grado di cogliere un unico aspetto che viene “congelato” in un’immagine pietrificata).

Solo lo spirito può cogliere il soffio vivo che anima il reale aggredendo da lati disparati questo Ente in continuo cambiamento e ricostruendone faticosamente i semi di verità che contiene in virtù della sua capacità combinatoria.

Esso, infatti, è mobile e polisemico. Mentre la finzione è immobile e unilaterale (nel senso che è in grado di cogliere un unico aspetto che viene “congelato” in un’immagine pietrificata).

La finzione può addizionare gli elementi. Ma è incapace di ricavarne il senso. … Sicché la verità è “elevazione a potenza” e non semplice somma dei singoli elementi che la compongono.

Questo è il motivo per cui il “velo” è in grado solo di riprodurre “immagini” di “principi” senza contenuto. Gusci vuoti, dai quali è stato tolto il frutto che dovrebbero contenere.

Il ruolo strumentale assunto da queste ipostasi vorrebbe essere quello (impossibile nel caso di specie) di riconciliare “senso” e “significato”. 

Ma presto, una prassi conflittuale s’incarica di smascherare questo goffo tentativo. 

Infatti … s’invoca la pace, mentre si promuove la guerra. 

Si proclamano con frasi altisonanti principi di giustizia e di civiltà … ma li si viola subito e apertamente. 

Si vorrebbe scambiare ruolo e veste di “parte” in conflitto con quelli di arbitro. S’interviene cavallerescamente in favore del preteso “aggredito” ma, contemporaneamente, ci si adopera, poco più in là, per sostenere l’aggressore.

Poiché la verità smentisce la narrazione, occorre che la narrazione sostituisca la verità, mettendo il bavaglio a chi la proclama. 

… All’esito pratico, non esistono più “fatti” ma solo propaganda, vale a dire rappresentazione dei fatti funzionale alla narrazione.

Sicchè resta solo da osservare, con Orwell, che: … “la pace è guerra”, “la verità è menzogna”, “la lealtà è tradimento” …

In altre parole, ciò che Nietzsche definiva “trasvalutazione dei valori”, si presenta ai nostri occhi come esibizione di simulacri e rappresentazione di valori che sono stati distrutti, ormai funzionale solo alla costruzione del consenso e al conseguente controllo delle masse. … o a quella parte di esse così stupida da non aver percepito l’inganno. 

Viene, così, allo scoperto il grande limite del nichilismo, ovvero l’incapacità di creare valori nuovi e la conseguente necessità di esibire valori “vecchi”, di fatto, privi di consistenza.

Il suo nucleo “mercuriale” è tale da corrodere e ridurre a nulla i valori, esercitando sull’intera società un’azione anomizzante e dissolutiva in

presenza della quale, distrutti i legami “atomici” che ne garantiscono la coesione, si determina la “liquefazione” della compagine sociale. 

L’esibizione di questi finti-valori avviene in un contesto parodistico caratterizzato dall’ipocrisia della fiaba: tutti sanno che il re è nudo, ma non fa bon ton dichiararlo ad alta voce. 

Nessuno, peraltro, si batterebbe per difendere la verità o la giustizia; mentre tutti sono pronti a invocarla a sé negandola agli altri.

Verità e Giustizia restano, pertanto confinate allo strumentario della sopraffazione, intervenendo al solo fine di togliere allo sconfitto ogni possibilità di replica. 

Anzi e meglio. La totale destrutturazione dei valori, determinando la pratica impossibilità di comporre tanto la lite privata quanto quella tra gli Stati alla luce di principi “terzi” da tutti riconosciuti, introduce un concetto di inimicizia personale e guerra totale nella quale non valgono regole o trattati: l’avversario è un nemico e il nemico è un non-uomo, contro il quale ogni mezzo diviene lecito.

Non vi è più spazio per accordi (se non imposti con la forza). 

Non vi è spazio per l’onore o la lealtà. 

Così, all’inimicizia tra i popoli negli Stati, corrisponde l’inimicizia tra gli Stati, mentre le prassi belliche divengono via via indistinguibili da quelle del terrorista. 

Si acclama il risultato favorevole, non importa se ottenuto a prezzo di stragi sulle popolazioni civili. 

Il troppo a lungo giustificato “danno collaterale” si rivela una semplice “finestra di Overton”, buona a rendere accettabile il coinvolgimento nel “bellum omnium contra omnes” … di donne e bambini.

Il tripudio di fronte a stragi indegne di ogni senso di onore, evoca allo spirito, smarrito, il ritorno del dio Baal o di una sanguinaria divinità sfuggita all’esilio di qualche teocalli. 

Agosto 2025 

Spectator

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