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ECCO LA NUOVA ORTODOSSIA SANITARIA: COSTITUZIONE TRADITA, POLITICA PIEGATA, LIBERTÀ NEGATA

Prof. Daniele Trabucco.


La revoca, con apposito decreto, dell’intero Gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni (NITAG) da parte del Ministro della Salute pro tempore, prof. Orazio Schillaci, intervenuta a pochi giorni dalla nomina dei dottori Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite, non è un gesto amministrativo neutro, bensì un atto politico che tradisce la logica costituzionale.

Non si tratta di un semplice avvicendamento tecnico: è il segnale che l’amministrazione pubblica ha abdicato alla propria autonomia per piegarsi alle pressioni di un clima mediatico ostile, trasformando un organo destinato al confronto scientifico in terreno di lotta ideologica.

La Costituzione vigente, all’art. 97, impone che l’azione della pubblica amministrazione sia ispirata a imparzialità e buon andamento: revocare un intero organismo consultivo non per difetti di competenza o per conflitti di interesse, ma per il clamore generato attorno a due nomi, significa capovolgere quel principio e sostituirlo con la logica della convenienza politica.

Allo stesso modo, la libertà della scienza, tutelata in modo pieno dall’art. 33, viene compressa e ridotta a conformismo. La scienza, che per sua natura è ricerca aperta, discussione critica e fallibile, è trasformata in catechismo sanitario: non ciò che argomenta, ma ciò che si allinea diventa “vero”.

In questo modo, ciò che il Testo fondamentale intendeva garantire come patrimonio comune della collettività, il libero sviluppo del sapere, è sacrificato sull’altare dell’ortodossia. Il danno si estende anche al principio del pluralismo, nucleo essenziale dell’art. 21.

Una democrazia vive di confronto regolato tra opinioni diverse, non della loro espulsione. Eliminare il dissenso scientifico da un organo consultivo significa ridurre la vita pubblica a un monologo imposto, privando i cittadini della possibilità di accedere a un’informazione completa e di formarsi un giudizio critico.

Dove il pluralismo viene soffocato, in nome di una antiscientificitá decisa dalla maggioranza, la democrazia si riduce a facciata e la politica a disciplina. Questa vicenda illumina una deriva che non è solo giuridica, ma anche filosofica e politica.

Filosoficamente, essa mostra la sostituzione della scienza con lo scientismo: non il sapere come ricerca, bensì il sapere come dogma; non la ragione come apertura, ma la ragione come strumento di esclusione.

Politicamente, rivela la fragilità di un Governo, nonostante la contrariertá del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, che, anziché affermare la proria autonomia e garantire spazi di confronto, cede alle pressioni di media in crisi di copie e di credibilità, ma ancora capaci di dettare l’agenda.

La politica si riduce così a eco di interessi esterni e la salute diventa il terreno su cui sperimentare nuove forme di controllo sociale. Il problema, allora, non riguarda solo due studiosi estromessi, coinvolgendo il senso stesso della democrazia.

Una comunità politica che esclude dal dibattito i dissenzienti abdica alla propria ragione d’essere, smarrisce la sua missione e si trasforma in macchina di consenso. La revoca del NITAG non è la difesa della scienza, è, viceversa, il suo tradimento; non è la garanzia della libertà, ma la sua negazione; non è l’affermazione della politica come arte del bene comune, ma il segno di una politica piegata all’immediato e al mediatico.

La forza di una democrazia non sta nell’uniformità, quanto nella capacità di dare spazio al dissenso e di trasformarlo in occasione di verità. Là dove il dissenso viene espulso, resta soltanto la paura del confronto. E un potere che teme la verità mostra già la propria fragilità.

“Fiat voluntas mediorum, pereat iustitia”.

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