La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che riconosce ai giudici nazionali il potere di sindacare la sicurezza dei Paesi terzi destinati all’accoglienza dei migranti, è formalmente impeccabile. Si riafferma il principio di controllo giurisdizionale effettivo, la necessità di fonti accessibili e verificabili, e il diritto di ogni individuo a un contraddittorio reale davanti alla legge. Bene. Ma dove erano questi stessi principi quando in Italia — e non solo — si imponevano chiusure generalizzate, si negava il lavoro ai non vaccinati, si umiliavano i ragazzi impedendo loro di salire su un autobus o fare sport se non obbedivano agli ordini sanitari?
Non è solo questione di giustizia europea. È questione di giustizia tout court.
Perché in quegli anni di sospensione delle libertà costituzionali, i tribunali italiani — salvo rare, eroiche eccezioni — hanno scelto il silenzio.
La verità è questa: quando il potere imponeva il sacrificio dell’individuo sull’altare della paura, troppi giudici hanno abbassato lo sguardo. Hanno applicato i decreti senza domandarli. Hanno respinto ricorsi senza ascoltarli. Hanno vestito la toga come un’armatura del potere, non come scudo del cittadino.
Qualcuno ha resistito. Pochi. E quei pochi resteranno nei libri veri, quelli che non si scrivono su mandato.
Sia chiaro: non è detto che la Corte di Giustizia UE avrebbe dovuto pronunciarsi su tutto. Le domande rivolte alla Corte, in certi casi, erano deboli, mal poste o addirittura formalmente inadatte. Ma è altrettanto vero che chi doveva vigilare, in patria, ha scelto di obbedire invece che giudicare.
I diritti non sono un privilegio: sono la linea oltre la quale uno Stato cessa di essere legittimo.
E se quella linea viene superata, non basta dire “ho applicato la legge”. Perché non esiste legge che possa giustificare la disumanità, e non esiste giudice che possa invocare l’alibi della neutralità.
La sentenza di oggi è forse giusta. Ma serve a poco se arriva in un’Europa dove la giustizia è muta quando il potere alza la voce.
Chi ha scelto il silenzio nei giorni del fuoco, non potrà mai parlare con autorità nei giorni della quiete.
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