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RITROVARE IL SACRO NELLA POLITICA: IL RITORNO DELLA REGALITÀ

di Daniele Trabucco

Introduzione

In un’epoca in cui la politica sembra ridotta a gestione tecnica, slogan mediatici e compromessi senza anima, l’intervento del Prof. Daniele Trabucco richiama con lucidità e forza il bisogno di restaurare una visione alta e metafisica del potere. Il suo saggio non è una critica qualsiasi, ma una vera e propria chiamata al risveglio di ciò che un tempo costituiva il cuore stesso della civiltà: la regalità come forma sublime dell’autorità politica. Di seguito, il testo integrale.


PER UNA RESTAURAZIONE DELLA REGALITÁ POLITICA

In Italia, oggi, il panorama politico è segnato da un vuoto strutturale: non esistono autentiche forze sovraniste. Quelle che si sono presentate come tali, e tra esse soprattutto Fratelli d’Italia, si sono rivelate manifestazioni superficiali, prive di fondamento teorico e, dunque, destinate al compromesso e all’assorbimento nel sistema global-liberale che pure avevano promesso di combattere. Il fallimento è da imputare non tanto a una strategia politica maldestra, quanto alla mancanza di una visione filosofica e di un’antropologia coerente: si è parlato di “sovranità” in termini puramente funzionali e contingenti, senza averne mai compreso la radice ontologica e metafisica.

La classe politica che si è detta “sovranista” ha rivelato un’irresponsabile mediocrità intellettuale, incapace di uscire dai binari della modernità politica, la quale, dalla Rivoluzione francese del 1789 in poi, ha ridotto la politica a mera tecnica di gestione delle masse, svuotando il concetto stesso di autorità del suo legame col principio del bene comune.

La cosiddetta “destra” italiana, lungi dall’essere portatrice di una visione alternativa al mondialismo, ne ha assorbito le premesse fondamentali: economicismo, individualismo metodologico, primato del consenso sull’ordine, accettazione incondizionata dei dogmi liberal-democratici.

Il risultato è un paradosso tragico: coloro che dovevano difendere la sovranità l’hanno consegnata definitivamente ai poteri tecnocratici sovranazionali, perché non sapevano più cosa fosse.

La sovranità, infatti, non è semplice autodeterminazione dello Stato-nazione, quanto un principio ordinativo, fondato su una concezione oggettiva della giustizia e su una gerarchia finalistica del vivere politico. Senza tale visione, ogni discorso “sovranista” si riduce a caricatura.

Da parte sua, la sinistra globalista, erede del progressismo secolarizzato e funzionale all’ideologia della dissoluzione, non ha difficoltà a liquidare il sovranismo come variante del populismo. Tuttavia, tale riduzione è possibile solo all’interno dello stesso orizzonte filosofico moderno, in cui tanto il globalismo, quanto il populismo si collocano come due facce della medesima medaglia: entrambi, infatti, accettano la premessa fondamentale della modernità, ossia la sostituzione della Verità con la volontà, della natura con la storia, del bene con il consenso.

Il populismo, che esalta la volontà del popolo come fonte assoluta di legittimazione, non è affatto antitetico al globalismo, che affida il potere alla tecnica e ai mercati: entrambi negano che la politica sia subordinata a un ordine oggettivo e, dunque, alla legge naturale.

Una vera forza sovranista non può nascere, né svilupparsi, all’interno di questo paradigma. Essa deve rifiutare radicalmente le categorie moderne, perché esse sono nate per dissolvere ogni principio di ordine metafisico.

La sovranità non può essere pensata come dominio della maggioranza o come resistenza al vincolo esterno, ma, secondo la grande lezione di Omero, come arte della regalità. Questo significa che il potere politico è autentico solo quando è partecipazione analogica di un ordine superiore, e non costruzione immanente di un potere senza limiti.

In questa prospettiva, lo Stato non è un apparato giuridico-amministrativo, bensí un organismo morale finalizzato alla realizzazione del bene comune secondo giustizia, e la comunità politica non è un contratto tra individui, ma una comunione ordinata e gerarchica, fondata sulla legge naturale.

Recuperare, allora, la regalità come chiave interpretativa del sovranismo implica ripensare l’intera architettura politica: la legge non è volontà della maggioranza, ma misura razionale della giustizia; la libertà non è arbitrio, ma perfezione dell’essere nella verità; la sovranità non è rottura di ogni limite, ma riconoscimento dell’ordine superiore che dà forma al comando.

In questa luce, la politica torna a essere “ars regiminis” in senso pieno: servizio alla verità dell’uomo, custodia dell’identità storica, difesa dell’unità e del destino di un popolo.

Solo un sovranismo così inteso, radicato nella metafisica dell’ordine e non nelle convenzioni della modernità, potrà costituire una vera alternativa all’apolide impero tecnocratico che oggi domina il mondo occidentale. Tutto il resto, slogan, partiti, coalizioni, è solo rumore di fondo che, alla lunga, mostra tutta la disarmonia.

Daniele Trabucco

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