Sembra che la Corte Costituzionale abbia deciso, ancora una volta, di sventolare la bandiera della necessità collettiva a scapito dei diritti individuali. La sentenza del 28 novembre 2024, che conferma la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione per un assistente capo della Polizia Penitenziaria non vaccinato, rappresenta un esempio eloquente di come il diritto possa trasformarsi in uno strumento di coercizione indiretta.
La Retorica della Sicurezza Collettiva
Nella decisione, la Corte si è aggrappata alla narrativa della sicurezza sul lavoro, sostenendo che la vaccinazione era un requisito essenziale per il rapporto lavorativo. Tuttavia, ciò che emerge è un equilibrio grottesco: si sacrifica l’individuo in nome di un bene collettivo, ignorando completamente che lo stesso individuo costituisce l’unità fondamentale di quel collettivo. È davvero coerente invocare l’art. 2087 del Codice Civile per giustificare una sospensione totale di retribuzione e di assegno alimentare, quando questa misura spinge i lavoratori verso l’indigenza? O forse la “sicurezza” qui non è altro che un alibi per punire la dissidenza?
Una punizione vestita da legalità
La Corte rigetta l’argomento del TAR, secondo cui la mancata retribuzione costituisce una violazione della dignità umana sancita dall’art. 2 della Costituzione. Eppure, è evidente che togliere ogni mezzo di sussistenza non sia un gesto “neutralmente legale”, ma un’arma di pressione morale. Il lavoratore viene spinto verso l’obbligo vaccinale non per convinzione, ma per necessità materiale. La Corte stessa riconosce che questa sospensione è una misura non sanzionatoria, ma poi nega qualsiasi supporto economico al lavoratore: un evidente cortocircuito logico.
La disparità di trattamento
Forse l’aspetto più ironico di questa sentenza è la totale cecità rispetto al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3. Perché un poliziotto penitenziario non vaccinato perde tutto, mentre un dipendente pubblico accusato di reati penali può contare su un assegno alimentare? È difficile non vedere una disparità evidente. La Corte liquida questa obiezione come “improponibile”, ma non offre una giustificazione realmente sostanziale.
La Dignità: Una Virtù Negoziabile?
Nel suo zelante sostegno alle politiche di emergenza sanitaria, la Corte sembra dimenticare che la dignità umana è inalienabile. Ridurre una persona alla povertà per una scelta medica è un atto che non può essere giustificato da nessuna normativa emergenziale. La libertà di scelta non è autentica se comporta il rischio di perdere tutto.
Questa sentenza non è un simbolo di giustizia, ma di un sistema che usa il diritto per trasformare il dissenso in obbedienza. È un promemoria agghiacciante di come lo Stato possa erodere i diritti individuali in nome della “necessità”.
“Non c’è autorità così pericolosa come quella che pretende di sapere cosa è meglio per noi.”
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