La notizia dell‘arresto di Pavel Durov, fondatore di Telegram, con l’accusa che la sua piattaforma sarebbe utilizzata per traffici illeciti come droga e prostituzione, oltre al necessario accertamento dei fatti, solleva in ogni caso legittime preoccupazioni in merito alla libertà di espressione e alla censura. Prima di tutto, va sottolineato che qualsiasi piattaforma di messaggistica può essere sfruttata per attività illegali, e questo non è un problema limitato a Telegram, molte altre piattaforme simili possono subire lo stesso tipo di utilizzo improprio da parte di malintenzionati.
Il vero nodo della questione, tuttavia, va certamente oltre l’aspetto criminale. La storia di Telegram, nota per la sua resistenza alle pressioni dei governi e la sua determinazione a difendere la privacy degli utenti, lo ha reso uno degli ultimi baluardi contro il controllo centralizzato del flusso di informazioni. Questa posizione ha indubbiamente creato attriti con quelle forze politiche e governative che vedono nella libertà d’espressione non regolata un potenziale rischio.
L’accusa che piattaforme come Telegram possano essere veicolo di crimini, che vanno con forza condannati,
non può essere usata come giustificazione per limitare la libertà d’espressione. In una società democratica, come sancito dall’articolo 21 della Costituzione italiana, la libera manifestazione del pensiero è un diritto inviolabile. Se una piattaforma viene usata per attività illegali, la soluzione non è reprimere lo strumento, ma colpire i responsabili degli atti criminali.
Inoltre, l’introduzione del Regolamento dell’Unione Europea, il Digital Service Act, volto a censurare a censurare i social che non si sono allineati agli standard di moderazione e controllo dei contenuti ha consacrato un vero è proprio regime di restringimento dello spazio di libertà online. Questo arresto potrebbe essere visto come una manifestazione concreta di questa tendenza: il tentativo di piegare una piattaforma che non ha ceduto alle richieste di censura imposte dal “pensiero dominante” e dalle istituzioni.
In un contesto in cui sempre più piattaforme si conformano alle richieste di censura per evitare sanzioni o per mantenere relazioni diplomatiche con i governi, Telegram ha rappresentato un rifugio per coloro che cercano di esprimere le loro opinioni senza paura di repressione.
La comunità di pensatori liberi deve, quindi, riflettere sulla portata di questo evento e prendere una posizione chiara contro azioni che, mascherate da questioni di sicurezza, minano in realtà i fondamenti della libertà di espressione.
È concreto il rischio di un grave attacco a uno dei diritti fondamentali dell’individuo e dovrebbe spingere tutti coloro che credono nella libertà di parola a difendere con vigore questo principio.
Occorre ora interrogarsi seriamente sul futuro della piattaforma. Le autorità di intelligence francese avranno, con l’arresto di Durov, il libero accesso a tutte le informazioni contenute su Telegram?
Certamente vanno condannati e posti limiti e cautele agli tilizzi criminali dei sistemi di messaggistica ma tutto ciò non può diventare un pretesto per la limitazione del diritto inviolabile della persona umana avente ad oggetto la libera manifestazione del pensiero.
Lascia un commento